venerdì 16 marzo 2018

Neil Jordan, “Ombre” ed. 2005


                                       Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

Neil Jordan, “Ombre”
Ed. Fazi, trad. Lucia Olivieri, pagg. 332, Euro 14,00


   Hester. Il nome stesso suggerisce storie più incalzanti, come pagine di un libro illustrato che scorrono rapide. Era annegata attraversando il fiume Boyne gelato, mentre una ragnatela di crepe si apriva nel ghiaccio sotto i suoi stivaletti col tacco. Era morta dando alla luce un figlio illegittimo, era stata seppellita nella fossa dei poveri, si era murata viva nello scantinato tra i mucchi di carbone…


   “So con precisione quando sono morta. Erano le tre e venti del quattordici gennaio millenovecentocinquanta…”: inizia così il romanzo “Ombre” di Neil Jordan, il primo dopo dieci anni in cui lo scrittore regista si è dedicato al cinema. E, se vi viene in mente “Amabili resti” di Alice Sebald, in cui la voce narrante era una ragazzina che era stata assassinata, accantonate l’idea, perché la somiglianza tra i due libri si ferma qui. Nina aveva 53 anni quando è stata uccisa e sappiamo subito che il colpevole è George, l’amico d’infanzia che lavora a giornata da lei come giardiniere, per rientrare la sera in un istituto psichiatrico. “Sono il narratore ideale, che abita l’ora e l’allora, danzando dall’una all’altro”, dice Nina, ed è questa la sensazione che abbiamo, leggendo: di librarci lievi in una danza tra il passato e il presente, più sfumato nell’alone dei ricordi il passato, nella magia di un tempo dell’innocenza che non torna più, più carico di tristezza il presente che ha conosciuto perdite e delusioni. Ma non ascoltiamo solo il racconto in prima persona di Nina, alla sua voce si alterna una narrativa in terza persona, come uno sguardo dall’esterno sui fatti del presente e del passato, in cui si inseriscono- a tratti- le voci di Gregory e Jane, gli altri due protagonisti del romanzo. Sono più o meno tutti coetanei, i fratelli George e Jane e i fratellastri Nina e Gregory, cresciuti insieme in Irlanda, condividendo giochi e scoperte nella grande casa dei genitori di Nina, sulle rive del Boyne.
Terra di leggende, di elfi e di fate, l’Irlanda,  dove l’ombra di Nina si può identificare con la mitica Boinn, la fanciulla ghermita dal fiume che ha trasformato i suoi capelli in alghe e ha preso il nome da lei, lo stesso fiume in cui si era tuffata Nina bambina per recuperare la sua bambola (un segno premonitore?), in cui era annegata la sua istitutrice (un altro segno?). E le ombre con cui parla Nina, la bambina ammalata di solitudine prima che Gregory e George e Jane facessero irruzione nella sua vita, acquistano un nome, si chiamano Emily o Hester, vivono di vita propria, diventano presenze reali anche per gli altri. Tanto che George, povero, confuso George sfigurato dalle ustioni riportate in guerra, racconta di aver ucciso Hester. Invece ha ucciso Nina.
Nina in prima persona può rievocare il calore dell’amicizia, il legame con il padre (c’è uno scambio di battute tra di loro, mutuate da “Grandi speranze” di Dickens, che diventa un refrain carico di allusioni di complicità: “che risate Pip”/ “che risate Joe”), il sorgere di un affetto più che fraterno per quel fratellastro che è come il suo doppio, il tentativo di amare George al posto di Gregory, ma è il racconto in terza persona che colloca gli eventi in una prospettiva più obiettiva, ampliando la scena agli orrori della guerra a Gallipoli, portandola sotto le luci dei riflettori quando Nina diventa un’attrice. Bellissimo romanzo sullo sfondo dell’Irlanda prima dei Troubles, ricco di poesia, di echi, di luci e di ombre, un romanzo che parla di solitudine e di amicizia, di diversi tipi di amore e di morte nello scenario famigliare e del mondo.  

la recensione è stata pubblicata www.alice.it



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