giovedì 1 marzo 2018

Mircea Cartarescu, "Abbacinante" Intervista 2007


                                            Voci da mondi diversi. Europa dell'Est


Abbiamo intervistato Mircea Cărtărescu, che è nato a Bucarest nel 1956 ed è uno dei più importanti scrittori romeni contemporanei, per parlare con lui del suo nuovo romanzo, “Abbacinante”, il primo di una trilogia. Per il romanzo precedente, “Nostalgia”, Cărtărescu ha ricevuto il prestigioso premio letterario Giuseppe Acerbi.

Possiamo iniziare dal titolo? “Orbitor” in originale, “Abbacinante” in italiano: che cosa è abbacinante?
      In rumeno “orbitor” è un avverbio che significa una forte luce, una luce mistica che non acceca ma apre i tuoi occhi. E’ luce che non vedi con gli occhi ma con il cervello. E’ la luce di verità e vera realtà, una luce mistica, come ho detto. E’ simbolo della meraviglia che esistiamo e vediamo la luce e possiamo sentirla. Nonostante il suono della parola, “Orbitor” non ha niente a che fare con “Die Blendung” di Canetti, che significa ‘cecità’. (in italiano il romanzo di Canetti si intitola “Auto da Fé”).


Il sottotitolo è “L’ala sinistra”, che è l’ala sinistra della farfalla: significa che ci saranno altri libri che svilupperanno il tema, secondo il corpo della farfalla? Perché la farfalla?
     Il tema della farfalla è quello che dà forma alla trilogia, e sì, ci sarà un secondo libro intitolato “Il corpo” e un terzo, “L’ala destra”. I tre libri sono un solo libro a forma di farfalla. Perché questo simbolo? Perché è la più grande metafora del destino dell’uomo: alcuni sostengono che l’idea di spirito sia nata dalla farfalla. Siamo tutti dei bruchi che strisciano, poi ci chiudiamo nella crisalide della nostra tomba da cui speriamo di uscire sotto forma di farfalla. Questa è la ragione per cui i greci non identificano lo spirito con la colomba ma con la farfalla. Psiche, l’anima, aveva come propria rappresentazione una farfalla. Il libro è pieno di farfalle come un insettario. Ho scoperto farfalle anche dove nessuno potrebbe immaginarle. Dentro il nostro corpo ci sono tre cose che hanno la morfologia della farfalla: il cervello è posato su una farfalla, l’osso che è alla base del cranio ha la forma di farfalla; le ossa iliache hanno forma di farfalla, nella fase fetale ciascuno di noi è coperto da queste ossa iliache; l’ultimo elemento a forma di farfalla è la sezione di ciascuna nostra vertebra. Abbiamo un gran numero di sezioni di farfalle all’interno della struttura midollare.
Un’altra forma di un tipo di farfalla è la coppia di gemelli e anche il tema della gemellarità è presente nel mio libro. Io ho avuto un fratello gemello identico che è scomparso quando aveva un anno. Era stato ricoverato in ospedale per una polmonite doppia e un giorno la mia mamma ha trovato il suo lettino vuoto. Era il 1957, si era nel pieno dello stalinismo, i miei genitori non sono riusciti a sapere che cosa fosse successo. Una delle speranze che alimentano la mia vita è quella di poter ritrovare il mio gemello che si chiamava Victor come uno dei personaggi di “Abbacinante”. E il terzo libro terminerà con il ritrovamento del gemello. Con questo incontro la trilogia si chiuderà come nel mondo fisico, quando l’incontro tra materia e antimateria provoca un’esplosione di luce accecante, orbitor.

C’è un legame tra questo libro e il precedente, “Nostalgia”. Prima di tutto, lo stesso sentimento di nostalgia, il rimpianto per qualcosa che non c’è più e che permea entrambi i libri. Di che cosa ha nostalgia?
     Non sono autore di libri ma di un mondo intero, tutti i miei libri sono interconnessi, “Abbacinante” è una sintesi degli altri. “Nostalgia” è stato il mio primo romanzo in prosa e da un certo punto di vista è il più perfetto, quello che è stato tradotto in più lingue e che ha avuto più successo. “Nostalgia” è un libro neo-romantico, il titolo suggerisce un’idea di paradiso perduto che può essere lo spazio amniotico del ventre materno, la prima infanzia, ma innanzitutto il paradiso da cui tutti veniamo che per me non ha valore temporale ma ha un senso metafisico. “Nostalgia” non è ritorno al passato, per me, ma piuttosto un viaggio nel mio mondo interiore.

Lei è il personaggio principale in “Abbacinante”, un libro fortemente autobiografico. Tuttavia anche nei romanzi precedenti avevamo l’impressione che Lei stesso rientrasse nel quadro: uno scrittore scrive sempre di se stesso? O ha bisogno di liberarsi di se stesso prima di poter andare avanti con la scrittura?
    Ci sono molti tipi di scrittori, alcuni provano la tentazione di dire, con le parole di Rimbaud, “io è un altro”, di riferirsi a se stessi come ad un altro, e questo porta allo straniamento surrealista. Per altri, invece, la ricerca è centripeta, la tentazione è andare dentro se stessi, sempre più in profondità dentro di sé. Io ho tentato entrambi i percorsi- in “Nostalgia”, pur sprofondando dentro di me, non mi sono proiettato in me come sono, quanto nelle possibilità non realizzate del mio animo. Mi sono proiettato in una donna e, in un altro racconto, in un vecchio: ho cercato di esplorare ciò che è stato in me a livello virtuale ma che non ha potuto realizzarsi. In “Rem”, il migliore dei racconti del libro, la protagonista è una voce femminile. Nostalgia significa desiderio intenso di vedere il mondo con gli occhi dell’altro sesso, perché l’essere umano in sé non esiste, esistono l’uomo e la donna. In origine eravamo androgini e ciascuno di noi ha represso uno dei nostri due corpi che è rimasto allo stato embrionale. Perciò in ogni essere maschile c’è una donna non realizzata e in ogni donna c’è un maschio represso. In “Rem” ho dato voce alla donna repressa in me: significa ricerca di sé e estraniamento dal sé.


Un altro tratto che accomuna i due libri è l’uso che Lei fa dei sogni e delle visioni, facendo diventare reale quello che non lo è. Il sogno è una sorta di terzo occhio, come quello degli indiani?
     Senza dubbio. Quest’idea dell’occhio di Shiva è presente nell’opera. Come è noto, l’occhio di Shiva è la ghiandola pineale, nei rettili primitivi la ghiandola pineale era il terzo occhio con cui i rettili vedevano la luce che viene dal sole allo zenit. Poi, nella scala filogenetica l’occhio è stato riassorbito e si è andato a collocare alla base del cranio. Questo occhio continua a vedere, assume informazioni dai nostri veri occhi e ha un forte scambio con gli ormoni della crescita e quelli sessuali- un tema importante nella seconda parte del libro.

In questa atmosfera intessuta di sogni i personaggi spesso si infilano i gallerie scure o salgono scale: quanto è stato influenzato dalle teorie psicanalitiche?
     In gioventù ho letto con attenzione Freud e Jung e ovviamente entrambi mi hanno influenzato, come hanno influenzato tutta l’arte moderna. Ma non ho mai costruito i miei testi in base a delle teorie. Kafka conosceva Freud in profondità ma era critico verso le sue teorie, il che non significa che non sia stato influenzato da lui. Penso che lo stesso Freud abbia sviluppato le sue teorie a partire dal clima del romanticismo tedesco che è il vero scopritore del mondo interiore e del sogno. La mia scrittura ha una dimensione onirica e io sono un grande sognatore nel vero senso della parola: sogno molto, i miei sogni hanno strutturato la mia scrittura e la mia vita. Molti dei motivi ossessivi dei miei testi sono sogni che ricorrono continuamente e sono contaminati da ricordi antichi. Per questo ho parlato sempre di un continuum ricordo-sogno-realtà, un continuum che definisce il mio spazio interiore.


E quale è il suo debito agli scrittori latino americani?
     Gli scrittori latino-americani hanno il surrealismo francese come principale fonte di ispirazione, primo fra tutti Cortázar che era affiliato al movimento e aveva vissuto nella Parigi di Breton. Ma ovviamente questa influenza è penetrata sullo sfondo della letteratura classica spagnola, del mondo magico dei miti sudamericani di origine indigena. Da questa mescolanza felice sono venuti scrittori geniali che mi hanno influenzato in maniera potente, Borges, Márquez, Ernesto Sábato: a loro sono debitore di tanto della mia scrittura. E sono debitore a Vargas Llosa, che da una decina di anni meriterebbe il Nobel.

I suoi libri sono ambientati a Bucarest, eppure si vede ben poco della città nelle sue pagine. Come mai?
     Anche se sono nato a Bucarest, non conosco bene la città e non ho nostalgia di questa città per come è. Per me Bucarest è sempre stata una costruzione immaginaria così come tutte le città della letteratura. Nella prima pagina di “Notti bianche” Dostoevskij descrive San Pietroburgo come una città fantasmatica che non ha una vera realtà. Credo sia la stessa cosa per la Buenos Aires di Borges o l’Alessandria d’Egitto di Durrell. Perciò quanto più le città paiono concrete e affascinanti in campo letterario, più perdono la connotazione di città reali e diventano in qualche modo degli impianti nel cervello di chi scrive. La mia Bucarest non ha legami con la polverosa città contemporanea, ma è una rappresentazione del mio stesso essere, è un mio specchio architettonico. In “Abbacinante” non ho scritto solo di Bucarest ma di più città, New Orleans, Amsterdam, Como, poiché, essendo il romanzo in forma di farfalla, queste città rappresentano gli occhi sulle ali della farfalla. Ma anche le altre città sono tanto immaginarie quanto Bucarest.


Un membro della Securitate compare nel romanzo. Lei è nato nel 1956 e quindi è vissuto negli anni del regime comunista: che cosa ha risentito di più, in quegli anni? E che cosa ha apprezzato maggiormente?
     Il periodo comunista non è stato tutto uguale. Durante lo stalinismo, negli anni ‘50, non si è potuto fare letteratura, il terrore era al massimo grado. Negli anni ‘60 e ‘70 c’è stata un’apertura anche culturale. In quel periodo anche la qualità dell’insegnamento era molto buona, l’attività editoriale era intensa- c’erano moltissime traduzioni di tutto quello che era di valore letterario nel mondo. E’ il periodo in cui si è sviluppata intellettualmente la mia generazione, che era apolitica perché essere uno spirito politico significava suicidio. Abbiamo preferito scrivere letteratura e protestare con questa contro il regime, indirettamente. Gli anni ‘80 sono stati più faticosi da sopportare perché è comparsa la tirannia personale di Ceausescu e della Securitate che erano i suoi cani da guardia. Anche io, come tutti gli altri, ho sopportato l’incattivimento della vita ma non ho abbandonato la fiducia nella letteratura. E anche in quegli anni difficili ho scritto libri di cui non mi sono dispiaciuto. E’ stata la mia forma per protestare, una modalità per sopravvivere. In realtà il comunismo rumeno è stato il peggior fascismo.

In questa luce, allora, l’uso del sogno e di una scrittura allusiva è servito per sfuggire al controllo, per far pervenire un messaggio?
     Io ho sempre scritto così e non per sfuggire alla censura, ma per esprimere me stesso. Però è esistito un atteggiamento così nella letteratura rumena ed è stato dato il nome di atteggiamento esotico a questa maniera di esprimersi tramite parabole. Buona parte della letteratura di quel periodo è stata parabolica per evitare la censura. Ma i censori non erano idioti, non si lasciavano ingannare così facilmente e questa letteratura non ha raggiunto il suo scopo. La mia generazione ha preferito essere se stessa anche a rischio di non essere pubblicata. Io stesso ho scritto in quel periodo un poema di 7000 versi senza speranza di essere pubblicato- era un urlo di rivolta contro la tirannia.


La letteratura sotto il comunismo e la letteratura adesso: in apparenza uno dei vantaggi del non essere un paese capitalista è che i romanzi dell’Europa dell’Est non sono mai dei “best sellers” nel significato negativo del termine, non sono mai costruiti per attirare dei compratori. Scriveranno in maniera diversa gli scrittori adesso?
    In realtà sarebbe bene che fosse così. Tra gli scrittori dell’Est dell’Europa ci sono molti imbroglioni che hanno imparato a vendersi seguendo dei cliché ovvii che l’Occidente ha nei confronti dei loro paesi. In qualche misura anche gli scrittori più bravi scrivono adeguandosi alle aspettative dell’Occidente, amputando la visione originale e mirando ad un successo di vendita. E’ vero che prima della caduta del muro di Berlino nei paesi dell’Est non si poneva il problema né del profitto sulle vendite e neppure della fama che poteva conseguirne, perciò il criterio estetico era più dominante di ora e la competizione tra gli scrittori era più idealista. Oggi anche da noi sono penetrati dei meccanismi di mercato : il mondo degli scrittori è diventato un mondo di concorrenza. Credo in un compromesso tra il nuovo ordine letterario e i propri impulsi interiori. Se queste tendenze contrarie arrivano ad equilibrarsi, avremo la condizione felice per cui gli scrittori dell’Est possono penetrare tra i grandi scrittori conosciuti e riconosciuti come tali. Altrimenti i rischi sono o di restare un genio sconosciuto in una cultura oscura oppure che si arrivi ad essere uno scrittore di best seller che ha conquistato il mondo ma ha perso la sua anima.

l'intervista e la precedente recensione sono state pubblicate su www.stradanove.net



                                                                                                               



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