sabato 3 marzo 2018

Gillo Dorfles, "Dorfles e dintorni" Intervista 2005


                                                  Casa Nostra. Qui Italia


Gillo Dorfles, 95 anni, una laurea in medicina, Professore di Estetica, saggista, pittore, amante delle lingue e della musica, è stato “l’occhio” del secolo scorso, la memoria della cultura italiana del ‘900, ed è tuttora “l’uomo che guarda” la realtà che ci circonda, registrandola in una critica attenta che penetra al di là degli aspetti esterni e superficiali in una comprensione profonda delle sue cause. E’ appena uscito, presso la casa editrice Archinto, un libriccino intitolato “Dorfles e dintorni” (pagg.186, Euro 15,00), un’intervista fatta al Professore da Flavia Puppo, giornalista, docente e traduttrice nata a Montevideo e cresciuta in Argentina, una conversazione a due voci che ha tutta la spontaneità di un incontro in cui si avverte la fiducia, il rispetto e la simpatia reciproca. Le domande sono organizzate intorno a grandi temi ma, dopo un inizio quasi d’obbligo che si rivolge al passato, procedono senza un ordine preciso, come se da una ne scaturisse un’altra, per associazione o per un impulso del momento. E, a tratti, le domande e le risposte sono intervallate da citazioni di Dorfles stesso, come una voce di commento fuori campo. Ne risulta un ritratto inedito e quanto mai vivo di una personalità d’eccezione che nulla concede ad impertinenti curiosità che invadano la sua sfera del privato, pur senza tirarsi indietro dal prendere posizione, dare un giudizio, esprimere un’opinione riguardo agli argomenti proposti. E’ proprio nella mancanza di sistematicità l’attrattiva di questo libro, perché spazia dalla Trieste mitica di Svevo e di Saba in cui Dorfles è cresciuto, alla sua propensione per le lingue straniere, da quella “strana” laurea in medicina al gusto delle letture, da piccole superstizioni (mai lasciare il cappello sul letto) alla debolezza dell’essere ricorso ad un “mago” per farsi curare un herpes, dalle annotazioni sull’arredamento delle case in cui si è trovato come ospite a quelle sulla moda, dai suoi quadri all’arte contemporanea, dalla sua esperienza di insegnante nel ‘68 alla politica, da che cosa sia kitsch alla musica, dall’apprezzamento per i fumetti all’estetica nipponica. Viene spontanea la riflessione di quanto sia ricca ed arricchente, una vita vissuta così nel profondo. Stilos si è intrattenuto con il professor Dorfles, per chiacchierare sugli argomenti di questa insolita intervista.



A volte penso che nei nomi sia racchiuso anche il destino di una persona, il suo nome mi incuriosisce, da dove viene?
    Il nome Gillo è soltanto un diminutivo di Angelo, mentre Dorfles è di origine austriaca, era scritto con la dieresi sulla o ed una r finale, Dörfler. Dal ‘700 la mia famiglia ha abitato a Gorizia e il cognome si è friulanizzato. E’ un cognome ibrido, per metà austriaco e per metà friulano. Venire da quella regione ha un significato, perché ho assorbito probabilmente molte delle costanti linguistiche ed etniche della regione. Considerando inoltre che mia madre era genovese, c’è in me l’aspetto della vecchia Italia.

Lei è cresciuto nella Trieste di Svevo e di Saba: com’era l’atmosfera di Trieste allora? È possibile paragonarla con quella di oggi?

     Allora, negli anni ‘30, Trieste aveva ancora un’atmosfera che ricordava la vecchia Austria imperiale che poi è andata del tutto perduta. C’erano le vecchie famiglie con il gusto dell’Austria piuttosto che dell’Italia e c’era una vita culturale molto intensa- Saba, Svevo, c’erano personalità culturali interessanti. Oggi la città ha perduto queste caratteristiche. Era una città legata al retroterra europeo, slavo e tedesco, per ritornare quella che era si dovrebbero ricreare i rapporti con la mitteleuropea interrotti nel periodo fascista. Tutto il mondo slavo che gravitava su Trieste dovrebbe essere recuperato dopo tutte le battaglie, le liti, le foibe…

L’amore per la lettura: se dovesse nominare un paio di scrittori stranieri e un paio di scrittori italiani che le piacciono, quali sono i primi nomi che le verrebbero in mente?
Carlo Emilio Gadda
     Sì, ho sempre avuto la passione per la lettura. Nella mia famiglia si leggeva in parecchie lingue, mia madre sapeva l’inglese e il francese, mio padre aveva studiato in Inghilterra e aveva amici inglesi che gli mandavano i libri di Priestley e di Galsworthy. Già da ragazzo leggevo i libri in originale anche se non sapevo bene le lingue perché non le studiavo, mi ha sempre affascinato leggere in originale, è una cosa totalmente diversa. Come questo mio libro dell’intervista con Flavia Puppo: l’originale in spagnolo è tutt’altra cosa rispetto alla traduzione. Due autori stranieri? Mi vengono in mente Kafka e McEwan. Tra gli italiani, Gadda e, per il gusto del paradosso, Aldo Busi.

Una sua frase mi è piaciuta molto, “La memoria è una grande qualità, ma può anche risultare un terribile intralcio”. Che cosa è bene dimenticare?
     E’ meglio dimenticare le cose spiacevoli anche se è difficile perché, in qualche modo, restano sempre nel ricordo, e poi sarebbe bene anche dimenticare tutto il ciarpame di cui è fatta la vita quotidiana. Vale la pena di ricordare il nome di Lucio Battisti o di De André? E poi invece magari si dimenticano nomi importanti. Per quello che riguarda gli eventi storici, è meglio ricordarli, anche se sono spiacevoli, è bene ricordare che cosa è stato il fascismo per non ricadere in qualcosa di simile.

Nell’intervista si parla anche dell’oggetto di design- in genere gli oggetti di design sono molto belli, ma si può accettare la mancanza di funzionalità a vantaggio dell’estetica?
     Gli oggetti di design non devono essere sempre funzionali, nell’oggetto di design prevale l’elemento di inventiva fantastica. D’altra parte la pura funzionalità non basta per fare un buon oggetto di design. Anche negli oggetti per la casa la componente estetica è importante quanto quella funzionale.

Confesso che mi ha stupito la sua visita dal mago etrusco per farsi curare una forma di herpes. Che cosa le fa avere fiducia in questi curatori?
      Non si tratta di fiducia, alcune di queste persone hanno veramente dei poteri soprasensibili. Questo non significa che possano predire il futuro, ma possono invece sentire il passato, hanno una visione paranormale. E poi la pranoterapia è un fatto reale, naturalmente fino a un certo punto, perché un tumore non scompare di certo con un’applicazione di pranoterapia, ma molte forme di malattie psicosomatiche o organiche possono migliorare con l’imposizione delle mani. Il pericolo è quello di credere nei fattucchieri che si vantano di avere poteri che non hanno.

Ho letto di quali siano le case che non le piacciono- quelle in cui c’è ostentazione, quelle ultramoderne…Com’è la casa che le piace?
     Sì, non mi piacciono le case degli architetti moderni, che non hanno niente che ricordi il passato. Non mi piacciono neppure quelle esclusivamente vecchiotte. Mi piacciono quelle che sono una via di mezzo, le case moderne e funzionali che possono avere anche dei begli oggetti che vengono dall’antichità.

Parliamo di moda- lei dice che una persona elegante come si concepiva una volta oggi sarebbe antiquata. Possiamo dire che la persona elegante è non “fuori moda” ma “al di fuori della moda”?
     Prima di tutto direi che c’è differenza tra eleganza e moda e che la persona elegante è al di sopra della moda: la persona elegante può accettare l’ultima moda ma può preferire anche la moda antiquata. Non è assolutamente eleganza accettare quelle scarpe con la punta sterminata che sono di pessimo gusto anche se sono di moda.

Accenna anche alla biancheria intima- che ne pensa della moda di mostrare gli elastici delle mutande, da parte dei giovani?

    Tutto il male possibile, come penso male del mostrare ombelichi e pezzi di schiena, il voler sottostare a cose assurde, come il piercing- sono comportamenti addirittura patologici.

Negli anni della rivoluzione giovanile, nel ‘68, lei prese posizione a favore degli studenti. Ricordo però che una delle richieste di quegli anni era anche il diritto alla promozione, al sei politico, che cosa ne pensava?
      Indubbiamente allora c’era la necessità di uno svecchiamento contro il barone universitario, si trattava di una lotta che in parte era giusta. Certo che diventava negativa quando diventava voglia di non studiare come spesso capitava. Oggi però non c’è più né la lotta né l’entusiasmo, il che è grave.

E’ un lettore di fumetti- che ne pensa dei fumetti “politici”, come il “Palestina” di Joe Sacco o “Maus” di Spiegelman?

      Non posso dire di amarli molto, anche se hanno avuto un’importanza politica. Mi piacciono di più i fumetti colti, Crepax o i vecchi e famosi fumetti americani. Ormai sono un po’ superati, forse è passato il momento dei fumetti, sono stati sostituiti, purtroppo, da tutti i giochi, i videogame.

Mi piacerebbe che commentasse una sua frase, “l’americanizzazione, una specie di flagello universale”.
      Effettivamente l’America è una grande nazione e ha fatto importanti operazioni culturali, ma l’americanismo è pericoloso, è un livellamento, un appiattimento del gusto, e purtroppo ne vediamo gli effetti in Europa e anche in Giappone. Oltre ad essere nemico dell’americanizzazione, lo sono anche della globalizzazione culturale, non della globalizzazione economica, ma di quella che significa perdere le caratteristiche nazionali e regionali, che è dannosissimo. E’ la diversità che crea l’interesse in tutti i campi, nella letteratura ma anche nella cucina. Ad esempio la ricchezza della cucina siciliana è di una tale qualità addirittura estetica oltre che gustativa che sarebbe un vero peccato se scomparisse.

Ogni volta che andiamo all’estero ci troviamo davanti a nuove soluzioni architettoniche che si saldano con il passato o che guardano al futuro- penso alla Piramide del Louvre, alla cupola del Reichstag a Berlino, del Millennium Bridge a Londra. Perché da noi non c’è niente del genere? Certamente non mancano le teste, manca la volontà? Mancano i soldi?

     E’ vero che l’Italia, che ha avuto un grande sviluppo architettonico dopo la guerra, si è arrestata. E’ vero che, se ci guardiamo in giro, a Barcellona, a Francoforte, a Londra, hanno fatto degli interessantissimi interventi architettonici; in Italia, a parte l’Auditorium di Renzo Piano e alcuni altri edifici, non si è fatto niente. Le nostre amministrazioni non sanno scegliere i progetti giusti, non sanno spendere bene i loro soldi. Adesso vedremo come diventa il nuovo progetto per la zona della Fiera di Milano, perché sembra interessante, sembra promettente.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
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